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I DERBY DEL MONDO | di Roberto Corbo | Puntata n°01: SIVIGLIA

SIVIGLIA

Chi ha avuto la fortuna di visitare Siviglia non può che esserne rimasto ammaliato. Questa città
ha saputo modellarsi alle spinte della modernità, pur rimanendo orgogliosamente ancorata al suo
ricco passato. Storia e tradizioni trovano molteplici testimonianze nel mudejar, una perfetta
simbiosi tra l’architettura musulmana e cattolica, nei quartieri più popolari (i barrios) a ridosso del
fiume Guadalquivir e perché no, negli antichi riti popolari, come il flamenco o le corride a las cinco
de la tarde, mai scaduti al rango di pacchiani clichè ad uso e consumo dei turisti, forse proprio
perché vissuti dalla gente del luogo con immutata religiosa partecipazione.
E poi c’è derbY sevillano che è una storia nella storia. Una stracittadina che infiamma Siviglia più
di quanto non faccia il ben più blasonato e oramai patinato Clàsico tra Barça e Real.

L’antica rivalità cittadina ruota attorno alla figura di Eladio Garcia de la Borbolla, dirigente storico
del Sevilla FC, club che vanta il primato di franchigia tra le più antiche di Spagna.
Sin dal 1890, anno della sua fondazione, la selezione dei calciatori di questo club non avveniva
solo per meriti sportivi; essere un buon calciatore era importante ma non sufficiente per meritarsi
un posto in squadra. La condizione fondamentale era l’appartenenza o, quanto meno, la
contiguità con una delle tante famiglie latifondiste andaluse. Eladio Garcia non ci sta e un giorno
decide di abbandonare la società per fondare, su altri principi, quella che diventerà l’altro club di
Siviglia: il Real Betis Balompé. La scelta di adottare come colori sociali il bianco e verde, come
la bandiera dell’Andalusia, non è casuale. Il Betis è e sarà la squadra emblema di tutta la regione.
In questa club ci sarà posto per tutti, a prescindere dalla classe sociale di appartenenza.
Ogni estate i bollettini meteo attestano Siviglia tra le città più calde d’Europa. L’autunno è più
mite, gli inverni sono rigidi ma non polari. Eppure quando si parla di calcio a Siviglia il clima è
torrido 365 per giorni all’anno. Tutte le contaminazioni del football moderno, che indurrebbero
chiunque a ridimensionare la rivalità cittadina entro i confini di una mera disputa sportiva,
sembrano non aver intaccato lo spirito bollente che anima le tifoserie di Betis e Sevilla FC;
benché la storia dei due club descriva parabole differenti.
Gli ultimi quindici anni di Liga spagnola sono stati un affare esclusivo di Barcellona e Real. In
questo duopolio il Sevilla FC, con le tre Uefa League vinte tra il 2014 e il 2016, è riuscito
comunque a ritagliarsi un ruolo da protagonista nelle gerarchie del calcio spagnolo ed
internazionale. Un primato che i biris, così sono chiamati i tifosi biancorossi, non hanno perso
occasione di rinfacciare ai cugini nemici del Betis la cui storia è viceversa contrassegnata da un
andamento più altalenante: luci, non tante per la verità, e molte ombre.
Eppure neanche l’onta della retrocessione nella Tercera Division (la nostra Lega Pro) è riuscita
a scalfire l’orgoglio dei verdiblancos. Non è un caso che uno dei cori più ricorrenti sulle tribune
recita testualmente: «Viva el Betis, manque pierda!» (Viva il Betis, anche se perde).
La letteratura sedimentata nel tempo attorno a questa infuocata rivalità sportiva racconta di
un’identificazione quasi religiosa che le rispettive tifoserie hanno con la propria squadra. A
Siviglia non funziona come dalle nostre parti dove, ad esempio, puoi essere di Genova e tifare
per la Juventus piuttosto che per il Milan o l’Inter. A Siviglia nessuno parteggia per il Real o per
il Barça. O tifi Sevilla o tifi Betis. Tertium non datur.
Il derby sevillano è la trasposizione della perenne lotta fra patrizi e plebei che in passato ha anche
raggiunto punte di violenza. Una rivalità che ancora oggi rende impensabile il trasferimento di un
calciatore da una sponda all’altra del Guadalquivir, così come avvenne nell’infuocata estate del
’46, quando il putiferio scatenato dai tifosi verdiblancos impedì il passaggio di Anunenz al Sevilla.
Ed è proprio a fronte di questo radicalismo che, nonostante la felice parentesi dell’Expò nel 92’,
a molti è sembrata velleitaria l’idea della giunta comunale di Siviglia di convincere le due società
a condividere lo stesso Estadio Olimpico de la Cartuja che peraltro ha ospitato i mondiali di
atletica del ’99.
Neanche a parlarne.
Oggi il Sevilla gioca le sue partite al Sànchez Pizjuàn, situato nel cuore del
più elegante ed esclusivo quartiere di Nervion, mentre i tifosi del Betis venerano i propri beniamini
nel cuore del barrio Heliòpolis dove è situato lo storico tempio, intitolato al presidente più amato
della storia del club, Benito Villamarìm.
Ovviamente oggi i derbi si svolgono alternativamente nei due impianti. Che si giochi da una parte
o dall’altra, chi è stato testimone di almeno una edizione del derbi racconta di uno spettacolo
sopra le righe e di un clima infernale.

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