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20 MARZO | NATO OGGI | Azeglio Vicini, l’ultimo CT Federale


AZEGLIO VICINI

I Mondiali di Italia 90 rappresentano un bagaglio di ricordi importante per chi li ha vissuti; indipendentemente dall’età, la rassegna Intercontinentale italiana ha regalato brividi, sussulti, molto più di qualunque altra manifestazione iridata.

Italia 90 sembrava essere il teatro perfetto per il Trionfo Tricolore, un Mondiale in Casa, probabilmente con la squadra più forte nel novero delle partecipanti (la Germania Ovest, probabilmente, l’unica che poteva competere con gli azzurri – considerazione personalissima, ndr) e con un Totò Schillaci tirato fuori dal Cilindro all’ultima amichevole prima del Via.

Quel Mondiale sappiamo tutti com’è andato a finire, con le “Colpe” ad avere tre imputati ben precisi:

  • Walter Zenga, reo di un’improvvida Uscita spericolata che è valso il pari di Caniggia in una semifinale che vide poi gli Argentini vincere nella lotteria dal dischetto;
  • Luca Cordero di Montezemolo, colpevole di aver piazzato una semifinale al San Paolo (il Fato fu poi spietato nell’abbinare proprio l’Argentina di Maradona agli Azzurri lanciatissimi dopo 5 partite giocate all’Olimpico);
  • Azeglio Vicini, pavido secondo molti nel non “rischiare” Roberto Baggio e nel riproporre un Gianluca Vialli in ombra.

Queste le considerazioni che restano di un Mondiale che resta comunque nel cuore di tutti, ben consapevoli che il 2006 sarebbe stato un pallido ricordo se confrontato al Potenziale Successo del 1990 (un modo che tuttavia ha reso ancor più epico il Titolo Iridato del 1982, ndr).

In Tutto questo, Azeglio Vicini, l’ultimo CT Federale della Nazionale Azzurra (possiamo considerare forse Cesare Maldini come l’ultimo esponente di questa categoria nel 1997-1998) conserva il peso di quello che, a conti fatti, resta un fallimento calcistico.

Quel Mondiale si doveva e si poteva vincere, con l’eco del rammarico che risulta essere direttamente proporzionale al valore sacrificato in campo.

STORIA DI UN UOMO ENTRATO CMQ NEL MITO

Subito dopo la sconfitta ai rigori nella semifinale con l’Argentina, qualcuno gli aveva chiesto se non era arrivato il momento di consegnare la panchina dell’Italia a un allenatore di un grande club. Una domanda che lo aveva fatto balzare sulla sedia. “Provate e poi ve ne accorgerete – aveva risposto – Sarei molto curioso anch’io dì vedere i risultati”. Quindici parole che erano una fiera rivendicazione della propria natura: quella di tecnico federale. Un allenatore che non aveva speso la propria carriera a fare grande un determinato club, ma che si era messo a disposizione della Federazione, che considerava la Nazionale come un patrimonio collettivo da ostendere ai tifosi, l’insegnamento nelle giovanili come una missione di vita. E a chi aveva sottolineato come l’Italia aveva vinto i Mondiali solo quando alla guida c’erano i tecnici federali Pozzo e Bearzot, Vicini si era permesso di rispondere: “Si dimentica di Valcareggi, che ha conquistato un titolo Europeo”.

“Quando guidavo l’Under 21 della Nazionale sapevo di avere una grande responsabilità – dirà anni dopo al Corriere della Sera – di fronte a me c’erano dei talenti, ma soprattutto dei ragazzi che dovevano essere accompagnati e che vivevano una fase delicata in cui il calcio si mischiava allo studio e agli amori con equilibri sottilissimi”.

Quella Under 21 è un bicchiere di acqua fresca nel deserto, è lì che cominciano a crescere DonadoniZengaManciniBaggioSchillaci e Vialli. Ai campionati europei di categoria gli azzurrini arrivano tre volte ai quarti (fra il 1978 e il 1982), poi in semifinale nel 1984 e in finale nel 1986, dove perdono ai rigori contro la Spagna. Quando in quello stesso anno arriva la fine dell’era Bearzot, non si apre neanche un dibattito sul nome del suo successore. Tutti sanno già dove pescare. “Vicini non era un genio – scriverà Mario Sconcerti – ma era tutto il resto. Aveva cultura, competenza, intelligenza e buon senso, amava sperimentare con metodo, cambiare l’idea, non stravolgerla”.

Euro 1988 gli azzurri vengono battuti in semifinale dell’Unione Sovietica e chiudono terzi ai Mondiali del 1990. La delusione più grande arriva un anno dopo, quando non riusciranno a staccare il pass per gli Europei del 1992. Il 12 ottobre 1991 la Russia ospita l’Italia nell’ultima gara del girone di qualificazione. Gli azzurri devono vincere per volare in Svezia. Finisce 0-0, con Ruggiero Rizzitelli che colpisce un clamoroso palo a botta sicura. Per Vicini è la fine. Così come per la tradizione dei tecnici federali.

Matarrese cerca un grande nome, uno che sia in grado di ridare entusiasmo, che sia il simbolo di una progettualità tutta nuova. E per questo sceglie Arrigo Sacchi. E fra il tecnico di Fusignano e l’ex cittì i rapporti saranno sempre piuttosto tesi. “Anche se ci fossimo qualificati per l’Europeo – ha detto Vicini a Repubblica qualche anno più tardi – mi avrebbero mandato via dopo. Sono stato la prima vittima di Berlusconi, precedendo Zoff che diede le dimissioni per le sue critiche dopo l’Europeo del 2000, perché l’allora presidente del Milan aveva già deciso di mettere Sacchi al mio posto”. E ancora: “Rispetto Sacchi e ho buoni rapporti con lui, anche se abbiamo idee diverse sul calcio. I numeri, però, dicono che con una partita più di lui ho una sconfitta in meno. Mi spiace per Rizzitelli, che ebbe la malaugurata idea di dedicarmi il gol contro la Norvegia nell’esordio di Sacchi. Guarda caso, poi non è stato più convocato”.

[FONTE: repubblica.it / ilfattoquotidiano.it]

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