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Van Basten: «Ho sempre paura che la gente si dimentichi di me»
Nell’Intervista parla anche del suo rapporto con Sacchi: «Non ha inventato nulla. Il modulo che usava il Milan non era né rivoluzionario né offensivo»
In una situazione pandemica che rischio nuovamente di bloccare tutto, in un periodo in cui il futuro appare ancor più incerto, ecco che il passato, accompagnato dalla tremenda nostalgia, torna a far capolino nell’animo dei calciofili e non solo…
Nel cassetto dei “rimpianti”, il più grande resta Marco Van Basten.
Il Cigno di Utrecht è l’unico Campione ad aver lasciato rimpianti: ritiratosi a 31 anni e di fatto fermo da quando ne aveva 28, con 3 Palloni d’oro in bacheca è riuscito a graffiare la tela della pinacoteca calcistica sia per la sua magnificenza pedatoria, sia per quel proseguo di carriera che poteva essere e che, purtroppo per tutti, non è poi stato.
Significativa l’intervista realizzata dal Corriere.it nell’ormai lontano 2020: la presentazione del suo libro “Fragile” diviene il momento propizio per fare due chiacchiere a tutto tondo su quello che è stato e su quello che sarà MARCO VAN BASTEN:
Sacchi ha fatto la storia del calcio?
«L’hanno fatta i suoi giocatori. Quel Milan era una delle squadre più forti di sempre. Lui ha avuto una parte importante. Era bravo a farsi amici i giornalisti, ha saputo costruire una immagine da grande innovatore».
Non lo è stato?
«Non ha inventato nulla. Il modulo che usava il Milan non era né rivoluzionario né offensivo. Schieravamo difensori eccezionali. A farci vincere così tanto è stata sempre la difesa, alla quale lui si applicava molto, dedicando invece poco tempo alla fase offensiva».
C’è qualcosa che non rifarebbe?
«Una volta negli spogliatoi gli dissi che vincevamo non grazie a lui, ma nonostante lui. Ci rimase così male, che uscì senza dire nulla. Sentii di averlo ferito. E non lo meritava. Uno sfregio gratuito, del quale mi dispiaccio ancora, anche se è passato tanto tempo. A livello personale, non ho problemi con lui, lo ricordo con affetto».
Lei sta con “risultatisti” alla Max Allegri, convinti che l’allenatore debba fare meno danni possibile, o con i “giochisti” sostenitori dell’importanza del modulo?
«I giocatori sono più importanti. Contano solo loro, nel calcio. L’allenatore bravo è quello che li fa rendere al meglio, senza imporre per forza le sue idee».
Qual è il suo rapporto attuale con il calcio?
«Vivo una condizione permanente di ambiguità. Da un lato ripeto sempre di non essere stato così importante, di essere uno dei tanti che hanno fatto buone cose».
E dall’altro?
«Ho sempre paura che la gente si dimentichi di me. Aveva ragione Sacchi, sono un po’ lunatico».
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