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18 Dicembre 1994 | Ci lascia Costantino Rozzi, il Don Chisciotte della Mancia Ascolana
A chi è oramai assuefatto alle rutilanti atmosfere del calcio di oggi, tutto closing, plusvalenze e pay-tv, il racconto della figura di Costantino Rozzi può evocare curiose analogie con il pittoresco presidente del Borgo Rosso, interpretato dal grande Alberto Sordi.
Eppure il Presidentissimo, così come lo definiscono tuttora i tifosi ascolani, è stato un personaggio a suo modo innovativo, precursore di vizi e virtù del calcio italiano.
Rozzi è un’autentica icona del calcio della provincia italiana degli anni ‘80. I tifosi lo adorano per aver traghettato l’Ascoli dalla serie C alla ribalta nazionale, arrivando perfino a sfiorare la qualificazione in Coppa Uefa per ben due volte (4° e 6° posto). E’ l’epoca in cui la partecipazione alle competizioni europee è ristretta a poche squadre.
I supporters delle altre provinciali ne apprezzano il coraggio e la caparbietà con i quali affronta i marpioni dell’èlite del calcio italiano, sia sui tavoli istituzionali, Federcalcio e Lega, sia nell’arena televisiva: in fondo, le battaglie per il suo Ascoli sono le battaglie di tutte le piccole.
Memorabili le sue pirotecniche irruzioni al primo Processo del Lunedì di Aldo Biscardi: in gran parte si deve a lui il merito di aver insinuato il dubbio nella paludosa polemica sportiva, fino a quel momento domata da giornalisti-parrucconi, spesso troppo deferenti verso gli interessi delle big del calcio italiano.
La sudditanza psicologica è il suo neologismo più famoso, con il quale fotografa una certa accondiscendenza della classe arbitrale nei confronti delle prime della serie A.
E’ vero, Rozzi è un parvenu. Spesso recrimina con toni e modi da macchietta, ma la sua polemica è sana e spesso suffragata da verità plausibili che, soltanto qualche decennio dopo, verranno a galla con nauseante prepotenza.
Con i suoi calciatori (“Giocatori, brutta razza!”) ha un rapporto diretto e viscerale. Al caldo della poltrona della tribuna d’onore preferisce la scomoda panchina a bordo campo, sulla quale, sempre munito dei suoi proverbiali calzettoni rossi, si contorce come un tarantolato ad ogni azione pericolosa.
Ma Rozzi è anche un esempio di integrità e coerente ostilità nei confronti di quella teppaglia organizzata, camuffata da ultras, che negli anni ’80 stupra gli stadi italiani (“Quando si tratta di delinquenti, non ammetto che si nascondano sotto la bandiera bianconera”). Un impegno spesso sbandierato dai massimi dirigenti dei grandi club, ma poco praticato.
Le sue sagaci intuizioni sul futuro del calcio hanno il sapore della profezia: sono in pochi a dargli credito quando, nel lontano ’79, prefigura lo scenario di “un campionato europeo con le più grosse società di ciascun Paese e, parallelamente, un altro campionato a carattere nazionale se non addirittura regionale con le altre”, anticipando di qualche lustro il sogno di una Lega Europea, a lungo accarezzato dai grandi club europei.
In definitiva, Rozzi Costantino da Ascoli, è stato un presidente vicino al calcio e soprattutto dentro il calcio. Uno che, seppur nei suoli limiti dialettici, ha saputo destreggiarsi, senza farsi stritolare dalle superpotenze del calcio nostrano.
Sta agli appassionati decidere se personaggi come lui debbano essere bollati come grotteschi fenomeni da baraccone di un calcio che non c’è più o se, viceversa, un po’ della sua umanità non possa ancora giovare al football di oggi, dominato da presidenti-magnati e manager inaccessibili come il mega direttore galattico del secondo tragico Fantozzi.
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